WIN 70 - Watsu e la cura dell’embrione che è in noi

Alla fine di una sessione di Watsu, molte persone ci riferiscono di un’esperienza vicina al volo, oppure ci parlano di un intimo e speciale contato con sé, alle volte di un senso di disorientamento spaziale, o – al contrario – di appartenenza. Queste sensazioni sono tra quelle che potrebbe provare un embrione, già dal primo momento in cui avviene il concepimento.

Il contatto della pelle e la pressione sui tessuti, sulle strutture tubolari e sui vasi sanguigni, generati dalle oscillazioni e spostamenti in acqua a temperatura uterina durante la sessione di Watsu, portano la persona in un’esperienza vicina a quella dell’origine. Questa è una delle ragioni e spunto di riflessione di questo articolo, per cui la sessione di Watsu diviene un’occasione speciale per iniziare un processo di guarigione che si inscrive a livello somatico.

La formazione che ho intrapreso con Dominique Degranges, la lettura di Cherionna Menzam-Sills e l’incontro durante le sedute di counseling di adulti e neonati, ma anche la mia esperienza traumatica personale, mi hanno portato a considerare l’importanza delle impronte relative a tutto il processo “nascita”, dall’incarnazione al venire alla luce ed in particolare dell’embrione.

La vita per tutti noi inizia come esseri unicellulari, dove percepiamo il senso di unità – l’essere è uno –, dove ogni cosa è rotonda e al suo posto. È già presente il livello energetico più profondo, quello della pulsazione; successivamente il compito dello sviluppo è quello di accrescere e definire i dettagli.

In realtà quella cellula è l’incontro di due cellule, l’ovulo e lo spermatozoo. Pensate che appena queste due energie di fondono, la cellula resta ben venti minuti in uno stato di quiete. Questa pausa è un momento di riorganizzazione e ri-orientamento, prima di indirizzare le linee di forza dello sviluppo, lungo la linea mediana. La linea mediana può essere percepita per tutta la vita come una forza a spirale che sale attraverso il centro dei corpi vertebrali e la base cranica.

La memoria di questa quiete, di questo potenziale sorgivo è rintracciabile a livello cellulare, quando nel Watsu ci portiamo nei momenti stillness, la persona può rintracciare quel momento di grazia dell’origine, dove le due cellule incontrano il terzo, l’essere che si incarna «come essere senziente che sperimenta la natura della sua vita» (Jaap van Der Wal). Nei momenti di quiete, durante la seduta possiamo offrire alla persona la possibilità di ri-orientarsi verso il proprio progetto originario.

Nel momento del concepimento ci sono impronte rintracciabili come senso di perdita, di nostalgia della casa divina, di desiderio di ritornare nello spirito, di essere abbandonati, separati dalla sorgente, ma può esserci una sensazione di gioia, di eccitazione nell’incontrare un corpo e realizzarci in questa vita.

A questo punto della nostra vita siamo esseri totalmente fluidi: mai come in questo momento siamo acqua. Gli studi di Emoto sulla memoria dell’acqua sembrano non essere così attendibili, ma William Tiller ha chiaramente dimostrato che questo elemento risponde al campo che ha intorno e alle intenzioni; quando siamo organismi unicellulari conserviamo memoria, ancor prima che sia presente un sistema nervoso.

Per questo è così importante la qualità delle emozioni del grembo materno e del campo che la circonda, come le intenzioni dell’operatore che tocca la donna in gravidanza, o qualsiasi persona che è stata organismo unicellulare.

Se appena dopo il concepimento c’è il grande riposo, successivamente c’è un gran lavorio, le cellule si dividono ogni ventiquattrore mentre l’uovo fecondato discende nella tuba di Fallopio e nell’utero. Dominique Degranges paragona questa discesa come il volo che fa l’astronauta che si lancia nel vuoto. L’organismo è pronto ad impiantarsi e questo per lui è un’esperienza di vita o di morte, dove danza l’ambivalenza tra le due polarità, tra il dire sì e il dire no alla vita. La nostra esperienza al momento dell’impianto è connessa alle sensazioni di trovare una casa e provare un senso di appartenenza, l’utero può essere accogliente o ostile, possiamo percepire di essere voluti ed accolti, protetti, di essere visti, o al contrario di essere rifiutati, invasi, soffocati, generare più tardi nelle relazioni con sé e con l’altro un senso di ansia, ambivalenza, fuga dall’intimità, o come un senso di intensa lotta in condizioni di stress o paura, separazione.

La fronte è il luogo del corpo che conserva di più la memoria dell’impianto: possiamo ricordarcelo quando appoggiamo la mano sulla fronte riportando alla parete; in fondo quel momento è tornare a casa, dopo aver navigato nello spazio.

Anche il momento in cui il cuore inizia a battere, la quarta settimana, è un momento fondamentale, ed è quello in cui la gravidanza viene di solito confermata. Come reagiscono i genitori? Il piccolo è voluto? C’è rifiuto? Ambivalenza? Tutto questo influenza – dice Emerson – sul senso di sicurezza e autostima.

Durante la sessione di Watsu noi operatori, se conosciamo un poco di più le tematiche prenatali e le sappiamo riconoscere quando emergono, possiamo offrire alla persona che è tra le nostre braccia la possibilità di fare un’esperienza emotiva correttiva e di farla a livello somatico. I traumi, anche quelli precoci, si cristallizzano nel tessuto e ne viene conservata memoria a livello cellulare. In acqua a temperatura uterina, noi possiamo offrire un’esperienza di contenimento sicuro, ascolto verbale e somatico, vedere la persona, toccarla con tocco chiaro, non invadente, non soffocante, accogliente; possiamo far sentire che siamo con lei, che riconosciamo il suo essere senziente, la sua natura, la rispettiamo e la portiamo nella libertà dell’acqua.

Autore: Patrizia Belardi

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